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Perdersi (il lavoro) sui social

  • Immagine del redattore: Davide Farano
    Davide Farano
  • 25 feb 2019
  • Tempo di lettura: 1 min

E’ di poche settimane fa la notizia che la Corte di Cassazione ha rigettato il ricorso di una lavoratrice, licenziata per l’eccessivo uso dei social durante l’orario di lavoro, con accessi effetuati dal computer aziendale.

Il numero insolitamente alto di accessi documentati ha fatto sospettare al datore di lavoro un uso eccessivo dei social network, ben al di fuori di quello consentito nelle pause previste.

A seguito di ciò, il datore di lavoro ha deciso di risolvere il rapporto lavorativo con la dipendente.

La motivazione di questa sentenza, riconducibile alla Corte d’Appello, è la gravità del comportamento “in contrasto con l’etica comune”, tanto da incrinare il rapporto di fiducia tra datore di lavoro e lavoratrice.

A nulla è valsa la linea difensiva della lavoratrice: i giudici non hanno infatti riscontrato violazioni della privacy della donna e, poiché per accedere al proprio account social è necessaria una password personale, i dubbi su eventuali accessi effettuati da altre persone col proprio account non sono stati accolti in sede giudiziaria.

Bisogna infatti ricordare che, a seguito della riforma del lavoro “Jobs act”, la riformulazione dell’art.4 legge 300/1970 prevede la possibilità da parte del datore di lavoro di controllare l’attività del lavoratore (e NON il lavoratore) su computer e smartphone aziendali.

Lasciamo che i social siano un momento di svago, di leggerezza, ma non lasciamo che mettano a rischio il nostro posto di lavoro.

Il Segretario Generale

📷 FP CGIL VARESE

(Gianna Moretto)

 
 
 

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