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Compagne a Gran Voce - s01e02 - La saggezza della mente non risiede negli abiti

  • Immagine del redattore: Davide Farano
    Davide Farano
  • 5 feb 2024
  • Tempo di lettura: 3 min

Prologo.


Dal 25 novembre 1960, poco o nulla è cambiato nei confronti delle donne; dalla violenza fisica, morale o psicologica e di sistema cui sono sottoposte ogni giorno, alle pagine dei quotidiani che ogni 48 ore circa vengono riempite da righe che narrano di femminicidi, come viene chiamato il delitto di donna (termine introdotto già nell'ottocento e tristemente sdoganato nel 1992 in un libro pubblicato da una criminologa americana).



Il fatto.


Nei giorni scorsi i "cavalieri del carroccio", capitanati da tal Simone Billi, ha chiesto e ottenuto che un convegno antiabortista potesse essere tenuto la mattina del 24 gennaio nella sala conferenze della Camera.

Durante il convegno sono state pronunciate frasi tipo: «L’aborto non è un diritto legalmente accettabile», «La legge 194 del ’78 (...) non è necessariamente morale» «L'aborto (...) è un diritto (...) in senso lato quanto può esserlo quello di uccidere, di rubare, di ferire. Infatti, se diritto significa ‘posso farlo quindi è giusto che lo faccia’, allora è diritto qualsiasi cosa".

E' chiaro come questo convegno sia un ulteriore attacco alla L.194 conosciuta come Legge sull'aborto; norma tanto vecchia (è del 1978) quanto giovanissima per i temi proposti e per le tutele che fornisce alle donne.



Epilogo.


Voglio affrontare la questione da un punto di vista meramente normativo, abbandonando così ogni opinione personale poiché ritengo che questo debba essere l'unico modo per affrontare i fatti, trattandoli come tali, evitando di farsi coinvolgere dalle proprie convinzioni culturali, filosofiche e/o religiose.

Partendo da questo principio inizio con il dire che la norma deve essere generale, astratta, positiva, coercitiva e relativa. E' qualunquista affermare che un diritto significa "posso farlo" e non è assolutamente accettabile che il diritto all'aborto possa essere paragonato all'assassinio, al furto o al tentato omicidio (ndr. diritto di ferire?).

Ogni norma viene costruita tenendo presente tutti gli aspetti che riguardano chi diventa oggetto della sua applicazione.

Ogni essere umano, in quanto persona e cittadino, ha in capo a sé la facoltà di esercitare un diritto. Ma, l'esercizio del suo diritto non può prescindere dal fatto che ognuno fa parte di una collettività. E, se si è uno in mezzo agli altri, allora il mio diritto non può opprimere quello degli altri. 

Le caratteristiche di generalità, astrattezza e relatività della norma fanno sì che non ci possa essere mai un riferimento a casi specifici, mentre le nostre opinioni e convinzioni morali, etiche o religiose non dovrebbero mai ledere l'esercizio di quel diritto che ognuno di noi ha.

Nel caso dell'aborto più in generale, e più in particolare per quello a seguito di stupro nel quale è la vittima di una gravissima violenza che ha aspetti fisici, morali e psicologici nel caso specifico oggetto del "convegno", è la donna la detentrice del diritto di gestire il proprio corpo; la labilità del confine ideologico e morale che questo comporta è il motivo per cui la norma non può essere se non così com'è e nessuno può pensare di intervenire su un argomento così complesso in un banale convegno organizzato dal peggior "Cetto la qualunque".

Probabilmente non si ragiona sugli effetti che tale approccio normativo potrebbe avere; a cominciare dalla ricerca di Paesi in cui invece l'aborto fosse consentito e finire con il pericolo che chi invece si trova in situazioni di indigenza possa rivolgersi a strutture clandestine, con tutte le conseguenze del caso.

L'argomento è vasto. Occorrerebbe parlarne, confrontarsi e non organizzare un convegno dandogli il vestito buono dei locali del Parlamento.


A questo proposito mi viene in mente che "In vestimentis non est sapientia mentis" e cioè la saggezza della mente non risiede negli abiti.


Marika Marino

 
 
 

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