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Compagne a Gran Voce - s01e01 - Lucrezia e le altre

  • Immagine del redattore: Davide Farano
    Davide Farano
  • 25 nov 2023
  • Tempo di lettura: 3 min

In occasione della giornata internazionale contro la violenza sulle donne, è stata portata in scena, presso la sala Montanari del Comune di Varese, la rappresentazione teatrale dal titolo Lucrezia e le altre con e di Elisabetta Vergani e Silvia Romani, musica di Sara Calvanelli, organizzazione arta Ceresoli.

Lo spettacolo, voluto fortemente dalla CGIL, dallo SPI CGIL, dal Coordinamento donne SPI CGIL e patrocinata dal Comune di Varese, racconta, attraverso la rilettura dei miti classici e dei racconti tratti da Tito Livio, Ovidio e altri autori del periodo classico greco romano, l'origine della violenza di genere e di come questa cultura sia giunta sino ai giorni nostri accompagnata dal senso di colpa e di vergogna nelle donne che hanno subito la violazione del proprio corpo.

Quando mi è stato chiesto di partecipare al dibattito con una riflessione, ho cercato di capire cosa avrei potuto dire.

L'argomento è talmente vasto, complesso e ricco di sfaccettature che ho pensato che non sarebbe bastata una serata, una settimana o un mese per poter raccontare tutto e che avrei dovuto evitare di essere troppo pesante o, al contrario, troppo leggera.

Mi sono ispirata allora al titolo della rappresentazione teatrale: Lucrezia e le altre.

Ecco il testo. Lucrezia e le altre, Lucrezia, e le altre? Quattro parole, una frase, due significati diversi. Una pausa, una virgola, un punto interrogativo che fanno la differenza, proprio come lo facciamo noi donne che siamo “punto” centrale del focolare, “virgola” tra le parole mamma, moglie, amica, compagna “punto esclamativo” quando diciamo “no! non voglio!”. Anche se si sente spesso dire "quando le donne dicono di no, in realtà vogliono dire sì”. No, decidiamo noi se e quando e "adesso non voglio!" siamo , troppo spesso, “punto interrogativo” quando chiediamo “perché? perché mi colpisci? Io ti amo” “perché mi uccidi, se dici che mi ami? “puntini sospensivi”….no! Non siamo puntini sospensivi! Sappiamo bene quello che vogliamo, soprattutto quando qualcuno o la Legge vorrebbe dire come dovremmo usare il nostro corpo! "Eh no! il mio corpo è mio! E nessuno può dirmi cosa ne devo fare! e ho da rendere conto solo a me, alla mia coscienza e, se ci credo, a Dio, che il corpo è mio!”. Lucrezia e le altre. Lucrezia è le altre; Fuori al cancello della scuola a chiacchierare di dinamiche familiari e del figlio che è il suo orgoglio; seduta al tavolo di una pizzeria, condivide birra e risate con le amiche; in piedi davanti al tappeto trasportatore della catena di montaggio e mentre i pezzi scorrono rapidamente, scambia occhiate d’intesa e sorrisi per i pettegolezzi fatti in pausa pranzo con le compagne. Lucrezia, e le altre? Lucrezia è sola, seduta in un angolo del bar. Anoressica della vita che ha smesso di gustare, di mangiare e di masticare perché troppo amara. Un giorno le altre le hanno detto: tu non puoi capire, non sei mamma”, hai 40 anni, quando ti sposi? Hai una bimba bellissima, quando le fai un fratellino? Caspita a questa età già tre bimbi?! Che vuoi fare, una squadra di calcio? Ehi, hai visto quella lì?, quella con la faccia da cavalla. Pensa che quella stava con uno più grande di lei! Lui è morto, lei sta già con un altro!”, “ma perché, quella lì? Quella tutta vamp col tacco 12. Ne cambia uno al mese, che pu….! Hai visto? è scritto anche sul giornale! Era ubriaca e poi vestita così….se l’è cercata”. Noi donne siamo incastrate tra antichi stereotipi: “dietro un grande uomo c’è sempre una grande donna”, strani paragoni: “chi dice donna dice danno ed equazioni improbabili: “gigolò sta ad escort come manager sta a donna in carriera”. Discutiamo se sia giusto avvocato o avvocatessa, presidente o presidentessa e così perdiamo di vista il centro della questione: siamo speciali, facciamo la differenza, ma per poterlo raccontare agli altri dobbiamo prenderne coscienza. Marika Marino




 
 
 

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